Thursday, April 19, 2007

Pianopoli - il Terremoto del 1638 e la Nascita




IL TERREMOTO DEL 1638 E NASCITA DI PIANOPOLI Il 27 marzo del 1638, intorno alle ore 21, come riportano le cronache del tempo, si abbattè sulla Calabria, in particolare nella zona del catanzarese, uno dei terremoti più distruttivi che l'uomo ricordi. Feroleto Antico fu quasi completamente distrutto: le vittime furono 161. Anche i paesi circostanti persero numerose vite: Nicastro contò1200 morti, Sambiase 747, S. Eufemia 142. Questo immane cataclisma non fiaccò però lo spirito della gente e dei feudatari, ricostruirono il castello e l'abitato. Non solo, ma parte dei superstiti scese a costruire le case in piano, intorno alla chiesa di Santa Croce, che era rimasta indenne dal sisma. Cosicché 1694 in quella zona denominata "cultura" era già presente un piccolo agglomerato urbano, al quale in un primo tempo venne dato il nome di Feroleto Piano, e successivamente, nel 1872, per provvedimento governativo ebbe il nome che ancora oggi conserva e cioè Pianopoli. Dopo il 1638, malgrado il rovinoso accaduto di quell'anno, il paese trova in se la forza di risorgere e rinnovarsi. Tant'è che molti suoi abitanti costruirono nuove abitazioni sulla parte pianeggiante posta a sud-est dell'antico colle urbano ed ivi si stabilirono definitivamente. Il nuovo nucleo si giovava certamente di spazi più comodi e continuava a godere di una natura sana e gradevole. Lo stesso Fiore non risparmia, in una sua descrizione idilliaca della zona, lodi ed apprezzamenti; tanta era stata la forma morale della popolazione di ristabilire e migliorare quella vita che il sisma aveva scosso e mortificato. Sentiamo il Fiore:

(1) " il terremoto del 1638, rovinò da fondamenti questa Terra; ma oggi stà quasi ristorata; oltre che buona parte degli rimasti Abitatori, scesi al piano, edificarono un'altr'Abitazione in quadro molto deliziosa, con belli edifici, che li rende meravigliosa in vero e convincini Paesi, per essersi edificata in tal modo, ed in si breve giro di tempo, d'anni cinquantasei, così numerosa di gente; fra i quali vi sono molte famiglie nobili, e ricchi, che compariscono con molto splendore, e fanno matrimoni cò Nobili delle città, di Catanzaro e Cosenza". Probabilmente all'occhio del visitatore, che ben poteva essere lo stesso Fiore, il paesaggio si presentava cosi, ma accanto al "nuovo", naturalmente si potevano vedere anche i segni del lontano passato. In tutta la zona difatti avanzavano dei ruderi: mura, chiese, tessuto urbano, erano certamente muti testimoni di quanto remotamente accaduto; gravi danni erano stati subiti ad esempio dal monastero dei Santi Filippo e Giacomo e dagli altri edifici religiosi esistenti; erano stati ridotti in rovina il vecchio castello (poi interamente riedificato dai d'Aquino), il castello di Pontico, e il palazzo che secondo alcuni era stato fabbricato da Federico II ed altri fabbricati. Alla Fine del secolo XVII il nucleo abitato del paese era sempre compreso tra il fiume Badia e il torrente Garella. Nella parte più alta giaceva il castello, con a fianco il convento degli Agostiniani, mentre nella parte bassa si stendeva tutto il tessuto edilizio. Feroleto Piano era invece cresciuto fuori dalla cerchia feudale, formato dai citati fiumi e la sua conformazione urbana era decisamente regolare, con le due strade che l'attraversavano nel centro e che ne hanno regolato l'intera evoluzione. Pertanto i due abitati si andavano sviluppando in maniera diversa, data la diversità della configurazione topografica: più accidentata la prima, in pianura l'altra. In particolare la natura accidentata di Feroleto Antico non ha permesso un regolare sviluppo edilizio urbano, mentre ha favorito il sorgere spontaneo di altri centri, autentiche borgate rurali, che si sono sviluppate lungo le strade che conducevano ai terreni da coltivare. Ciò vale per Vaiola, Polverini, Luciani e altre borgate (esempio Accaria), che tali sono rimaste, mentre Galli e Ievoli per la particolare loro posizione conseguirono una più razionale organizzazione urbanistica. Nel corso del settecento Feroleto, e in genere gli antichi centri abitati dai d'Aquino, cominciarono a decadere. Fu soprattutto nella seconda metà del secolo che si acuì la crisi. La carestia del 1664, la peste che colpì gravemente la popolazione del catanzarese, la mancata coltivazione di alcuni terreni e le pressioni feudali, portarono allo sviluppo del brigantaggio. Nemmeno Feroleto ne restò immune. Molte sono le notizie di bande che operarono sul suo territorio e lo colpirono segnatamente. A tale proposito vanno menzionati, tra i fin noti briganti, il Benincasa, lo Zungro soprannominato "Quadararu", il Mazza ed altri più temibili come Parafanti e Giuseppe Rotella soprannominato il Boia. Quest'ultimo merita particolare attenzione per la sua pericolosità e la sua crudeltà. Si racconta, per esempio, che aveva l'abitudine di tagliare le orecchie o il naso a chi incontrava oppure, e questa era la sorte peggiore che poteva succedere al malcapitato, lo faceva sbranare dai suoi cani, addestrati appositamente per questo scopo. Tra le sue peggiori malefattesi annovera questa, che un giorno ebbe il coraggio di rubare 130 mucche e di chiedere come riscatto al Comune la somma di 4.000 ducati. Ma le autorità del tempo non pagarono il riscatto ed egli insieme ad i suoi amici trucidò tutte le mucche sulle montagne di Caraffa facendole precipitare in una valle e rendendo la zona praticamente inavvicinabile a causa del cattivo odore, emanato dalle carogne di quelle bestie. Delle altre malefatte del Boia ce ne parla lo studioso Filippo Bruni in una sua opera letteraria

(2) . I Feroletani che perirono sotto la sua crudeltà furono molti. A tal proposito ricordiamo Stefano Mascaro di Tommaso da Feroleto ucciso con colpo d'arma da fuoco il 31 agosto 1810. Ecco come avvenne la morte del temibile e sanguinoso brigante raccontataci sempre dal Bruni

(3): "Capo drappello la guardia civica di Feroleto Piano (ora Pianopoli) era Tommaso Barberio, uomo ardito e coraggioso. L'11 settembre 1810 di buon mattino questi si recò con la sua squadra a perlustrare il territorio feroletano e passando per i boschi di ferratello s'accorse che dentro foltissime eriche, vi era il Boia ed i suoi compagni occupati a giuocare a denari. La Guardia Civica fece una scarica di fucilate su di loro. Luigi... da Cerrisi, Giuseppe Lamanna da Tiriolo, e due cani Leonessa e Malcuore vi morirono. Il Boia con sua moglie ed i superstiti della comitiva, lasciando danari ed altro sul suolo fuggirono per i piani di Marinaggi ed andarono a fermarsi nella contrada di Dipodi. Quivi per vendetta uccisero Giuditta Preianò vedova de fu Pietro Sacco da Feroleto. Di là s'avviarono nella contrada S. Barbara e quivi sequestrarono Agostino Barberio, padre del comandante la Guardia Civica; Giuseppe Colacino, Domenico Rubino, Domenico Maida di Antonio, Pietro Curcio di Francesco, Tommaso Caligiuri Cischiumi, Giuseppe Guzzo Sorvillo da Feroleto e Gaetano Fazio da Ievoli e li condussero nella montagna di Caraffa chiedendo per la loro liberazione una grossa somma. Non essendogli questa mandata li condussero nei boschi della contrada Rizzuto territorio di Maida e la notte di giovedì 13 settembre, dietro i più orrendi strazi e tormenti, ucciso Agostino Barberio, Giuseppe Colacino e Domenico Rubino e liberarono gli altri. Dopo questo fatto la Comitiva del Rotella si rese più cauta, ma divenne più feroce e sanguinaria. Il 18 ottobre 1810 involarono nove animali vaccini tra grandi e piccoli di proprietà di Salvatore Mascaro fu Giuseppe e di Francesco Scalise fu Angelo Frabillo di Accaria, villaggio di Serrastretta, e nel medesimo giorno, sequestrò tredici individui di Feroleto ed uccise Francesco Aiello e ferì Tommaso Corrado. Nel novembre del 1810 il Boia, caduto in un assalto, fu ferito e preso. Fu condannato a morte, il minor castigo che si fosse meritato. Molti domandarono che gli fossero tagliate le mani, le orecchie, le labbra e lo lasciassero stare cosi mutilato fino alla stagione estiva. In questo frattempo sarebbe stato unto di miele ed esposto al sole per essere divorato dalle mosche. Questa proposta però non fu accolta dai francesi ed il Boia fu solamente impiccato e subì il supplizio con bestiale freddezza". Inoltre va ancora detto che della sua comitiva fecero parte anche alcuni feroletani tra cui va annoverato Francesco Lucia Verrogna il quale tutti credevano emigrato in Sicilia, Angelo Scalise di Benedetto nativo di Feroleto ma dimorante nel villaggio di Polverini dove aveva sposato una donna del luogo. La zona dominata da questo audace brigante era molto vasta, egli percorreva e si nascondeva nei boschi o nelle campagne di S. Eufemia, Maida, Nicastro, Feroleto e Serrastretta. Del Parafanti si sa poco, ecco quanto scrive Aldo Rocca

(4) : " Altro temibile brigante che operò pure nel territorio di questo Comune fu il famigerato Parafanti che, dopo molto tempo in seguito ad un lungo e violento combattimento con le Guardie Civiche e con i soldati, fu ucciso insieme con la banda nel bosco di "Camello" sempre nel territorio di Feroleto. Oggi sulla strada dei due mari, in prossimità del bivio per Vena di Maida si attraversa il fiume Amato ( più correttamente Lamato) sopra il ponte che sostituisce, ora è molto tempo, quello vecchio, analogo e parallelo, che crollò nel corso di una piena. Il vecchio ponte, che ancora si può vedere diruto com'è, era detto "u ponte du Quadararu" , e segnava a suo tempo l'inizio della strada che partendo dal bivio Mastr'Elia, proseguiva per Catanzaro, delle altre strade del bivio una conduceva a Nicastro (per Dipodi) e l'altra a Tiriolo (per Marcellinara). Ebbene, donde avrebbe tratto il suo nome quel ponte se non da quel brigante, detto appunto "u Quadararu"? Io non ho trovato nulla in merito, ma c'è da pensare che il brigante, lo Zungro, si servisse di quel luogo per i suoi agguati, e a darmene conferma è quella stretta gola naturale posta in fondo al fiume proprio nel punto in cui era il ponte. Insomma, come già detto precedentemente, il settecento fu un brutto periodo per i governanti in quanto si vennero a trovare in affanno e in miseria. Anche i d'Aquino si avviarono verso il definitivo declino e con l'estinzione della loro famiglia Feroleto e tutti gli altri feudi passarono al regio demanio. Lo stato feudale della famiglia d'Aquino comprendeva al momento della sua fine la già citata terra di Castiglione, la terra di Martoriano, la terra di Mota Santa Lucia, la terra di Nicastro e la terra di Feroleto Antico. Negli anni successivi con i provvedimenti francesi e borbonici si assistette a quelle suddivisioni territoriali e amministrative che riguarda gran parte dei paesi della regione. Nel1799, nell'ordinamento amministrativo disposto da Championnèt, durante l'effimera repubblica partenopea, Feroleto veniva incluso come comune nel cantone di Nicastro. Nel secondo periodo francese (1806 - 1814) con il provvedimento disposto dalla legge napoleonica del 19 gennaio 1807, lo si riconosceva luogo posto sotto il governo di Nicastro

(5) . L'istituzione dei Comuni e dei Circondari, legge del 14 gennaio 1811, lo rendeva Comune autonomo e lo assegnava al Circondario di Serrastretta. Infine per decreto del 2 giugno 1833 veniva elevato a capoluogo di Circondario e comprese nella sua Giurisdizione non solo i suoi villaggi, ma anche lo stesso Feroleto Piano mentre i villaggi di quest'ultimo, Accaria, Palmatico, Maruchi, San Michele, Migluso e Angoli furono inglobati nel comune di Serrastretta

(6) . La suddivisione del territorio così come fu fatta non dovette soddisfare gli abitanti, i quali richiesero nel 1890 (vale a dire dopo l'Unificazione d'Italia) che al comune di Feroleto Antico venissero aggregati quelli di Amato, Miglierina, Serrastretta, villaggi di Angoli, San Michele e Migluso così come era stato nell'antico assetto di Feroleto. La richiesta non ebbe seguito e i confini comunali rimasero quelli di oggi. Per quanto riguarda le attuali frazioni di Feroleto Antico, in particolar modo sulle frazioni di Ievoli, Polverini e Luciani, c'è da dire quanto segue. Ievoli fu edificata, come riporta Filippo Bruni

(7) , tra la fine del XVII ed il principio del XVIII secolo, da alcuni profughi serrastrettesi, i quali avendo, fissati stabile dimora nelle casette costruite in alcuni loro beni, a poco a poco essi ed i loro discendenti, vi fecero sorgere un villaggio, l'attuale Ievoli, chiamata da "Ievulu", nome di una specie di erba che fa gonfiare le mani se viene toccata e che il popolo usa nella cura dei dolori reumatici. Le frazioni di Luciani e Polverini, sempre come riporta Filippo Bruni, nella citata opera, furono anch'esse formate da Serrastrettesi. Due famiglie diedero nome alle località; esse furono la famiglia di Graziano, alias Polverino, e quella di Lucia, le quali si stabilirono nelle casette di alcuni loro terreni, divisi l'un l'altro dal ruscello Cundaro, da cui ha emissione il torrente Pigna; e quivi dimorarono continuamente coi loro figli, i quali in seguito aprirono separatamente famiglia, edificarono nuove case, fino a formare due rioni, e di questi due rioni uno, quello della parte sinistra, si chiamò Polverini e l'altro, quello della parte destra del ruscello si chiamò Lucii e quindi Luciani. L'origine di questi due rioni, probabilmente avvenne al principio del secolo XVIII. Altro particolare cenno merita la zona denominata "monte Cugno". Questa da diversi decenni è ritornata proprietà del Comune di Feroleto ma un tempo fu venduta per necessità economica al principe Cesare d'Aquino

(8) . Infatti, il Governo di Feroleto, trovandosi gravato di molti debiti e tasse, offrì al principe la montagna posta in vendita.
Questi accettò l'offerta e, il 26 settembre del 1632, mediante un contratto stipulato col notaio Orazio Ariotta di Amantea, passò in proprietà al principe Cesare, succeduto nel 1629 al conte Carlo d'Aquino. In ricordo di questo memorabile evento oggi si può ammirare all'interno dell'attuale Municipio, cementata in un muro interno dell'edificio, una lapide in marmo sulla quale si può leggere quanto segue: Dopo tre secoli di abbandono il demanio "Cugno della Montagna" preda del "Casale" Serrastretta veniva restituito dopo lunga e fiera lotta giudiziaria ai naturali di Feroleto Antico auspice il comm. Giacinto Cosentini Sindaco Podestà 1.628-1.930 il Comune di Feroleto Antico a ricordo dell'evento memorando.> > Addì 28 ottobre 1934 XII

Dal libro "Pianopoli arte e Cultura di Vittorio Miceli"
Ecco intorno a S. Croce, le prime baracche; e poi due strade a croce e poi il pullulare di casupole, lungo i bracci della croce; e poi altre Chiese, qualche palaz7o, e, l'uno dopo l'altro, i "vichi": così
l'antica "Coltura" dei Frati Agostiniani si è trasformata, nel corso di tre secoli, prima in 'Feroleto di Sotto" ed in 'Feroleto Inferiore", poì in 'Feroleto Piano", infine in 'Pianopoli": "onde nulla sì avesse di simile con Feroleto Antico", come declama l'incredibile delibera con la quale, nel maggio 1871, il Consiglio Comunale prende una decisione davvero straordinaria: taglia ogni legame nominale con Feroleto Antico ed inventa un nuovo nome, così lindo, così luminosamente neoclassico: PIANOPOLI!



No comments: